Alaska

Share this post

La resa dei conti

alaskahub.substack.com

La resa dei conti

Marina Petrillo
Jan 20, 2021
Share this post

La resa dei conti

alaskahub.substack.com


Alaska newsletter #145

care e cari,
oggi si conclude ufficialmente la presidenza Trump e si inaugura quella Biden. Invece di inviarvi dei link a cose da leggere, sento il bisogno di raccontarvi una storia..

A settembre del 2016, in piena campagna elettorale americana, prendo un volo interno per raggiungere una conferenza di giornalismo. Quell'anno si tiene in Colorado, dove non sono mai stata, e sebbene sia troppo stanca per fare conversazione, un uomo sulla sessantina sull'altro lato del corridoio si sporge verso di me per attaccare discorsoi. Mi fa vedere la sua carta da frequent flyer, si vanta dei suoi successi come imprenditore. Che sia un uomo di destra si capisce. Insiste sul fatto che ci si debba liberare dell'eccessivo controllo dello stato federale (una convinzione abbastanza tipica dei Repubblicani), e sembra un tipico esponente della classe media, bianco, con un buon lavoro, che ha messo soldi da parte e fatto investimenti. Io annuisco educatamente, anche quando mi interrompe se tento di articolare una risposta, o si lamenta del "politically correct", o quando dice che staremmo tutti meglio se le donne restassero a casa con i figli (un rinculo, questo, più tipicamente recente, che ha la sua deriva estrema negli "incel" di cui poi vi avrei raccontato spesso).

Sono a disagio, ma non sono preoccupata. Finché non mi chiede che mestiere faccio e dove sto andando. Gli dico, la giornalista e sto andando a una conferenza a Denver. A quel punto è come se prendesse una rincorsa. Ogni tanto deve ritirarsi nel suo sedile per lasciar passare qualcuno in corridoio, ma poi si infervora di nuovo, e si sporge verso di me, sempre più aggressivo. Al culmine delle farneticazioni mi spiega, come si spiega a una bambina stupida, che la strage alla scuola elementare Sandy Hook di Newtown non è mai accaduta. Che si tratta di un complotto di Obama per danneggiare la NRA e far cancellare il Secondo emendamento, e togliere agli americani il loro sacrosanto diritto a possedere armi. Dovete sapere che il giorno di quella strage, nel 2012, io ero stata in diretta tutto il giorno sui social media, smistando notizie, verificando voci e fotografie, facendo geolocalizzazioni. Non sono mai riuscita a togliermelo dalla testa. Erano morti venti bambini e bambine di sei o sette anni, e sei adulti fra insegnanti, personale e la preside della scuola, per mano di un giovane uomo di 26 anni che era entrato sparando.

Lui insiste: non c'erano abbastanza foto (trattandosi di una strage di bambini così piccoli, le autorità provarono a contenere le immagini violente e ad evitare possibili emulatori), quelle che c'erano erano false, e i genitori che parlavano piangendo coi media erano stati pagati e facevano parte del complotto. Gli dico che ho lavorato su quella storia. Provo a chiedergli dove siano finiti i bambini che non ci sono più. Cerco di ragionare con lui ma capisco presto che non c'è ragionamento che tenga, e soprattutto, che la mia replica non è prevista. All'improvviso, l'uomo perde completamente il controllo, si alza dal suo posto e incombendo sopra di me urla "zitta, zitta, silenzio!" Inveisce contro Obama, e a voce altissima, perché tutti lo sentano, mi dice "Vuole vedere la mia pistola?! Vuole vedere la mia pistola?!". Nessuno a bordo interviene. Nessuno dice una parola.

Quella sera guardo la Cnn in albergo. Per ore e ore e ore trasmettono solo immagini di Trump, e allora capisco che vincerà le elezioni e che le cose si metteranno molto male.
Trump è stato eletto e io non ho più voluto mettere piede negli Stati Uniti.

Tempo dopo, Obama ha detto che il violento rigurgito del suprematismo bianco è il contraccolpo per aver eletto per la prima volta un presidente nero.

Mi è poi tornato in mente un amico che tanti anni fa, prima che io cominciassi a viaggiare in America, mi diceva che pur amando molto gli Stati Uniti, li trovava un paese violento, in cui la violenza, soprattutto lontano dalle coste e dalle grandi città, si respira, si sente, pesa sulle vita delle persone. La terra rubata ai Nativi Americani, i reduci del Vietnam e poi dell'Afghanistan che ho visto riversi sui marciapiedi o in coda alla mensa per i senzatetto. Le bandierine americane fuori dalle case di famiglie che hanno perso un figlio o un fratello in una delle guerre d'esportazione, ai giovani soldati stravolti dalla sindrome da stress post-traumatico. I negazionismi davanti a quasi 400 mila morti di Covid. Al numero altissimo di dipendenze da psicofarmaci. Il paese in cui in mezzo alla retorica del "We the People", a farla franca sono sempre le multinazionali. Un paese che manda l'esercito armato fino ai denti a reprimere manifestazioni di neri disarmati in quartieri poverissimi. I detenuti nelle prigioni private che lavorano gratis. I condannati a morte e a come non ce ne sia mai uno ricco. Come nelle foto dell'assalto al Campidoglio si vedano le divise della Guardia Nazionale accanto a quelle paramilitari degli insurrezionisti, e si faccia fatica a distinguerle. Un paese che per 250 anni, nonostante la sua straordinaria multiculturalità, è stato maschio, bianco, cristiano, imperialista, sessista, implicitamente schiavista, divoratore di carne, il paese che più ha confuso la supremazia e l'estrazionismo col progresso, indicando la strada a tutti gli altri paesi. I profondi sconvolgimenti tellurici con cui i movimenti afroamericani e femministi lo stanno scuotendo.

Amo moltissimo gli Stati Uniti, ma tutta la violenza su cui si sono edificati sta tornando a casa, e non può non provocare trauma, rabbia e dolore. L'uomo su quel volo non poteva né lasciarmi parlare né accettare un'opinione diversa, anche la più corroborata dai fatti, perché pensava ne andasse della sua sopravvivenza. Avvertiva che la supremazia che aveva sempre considerato un diritto di nascita, e il perimetro che gli avevano sempre permesso di pensare fosse l'unica realtà, stavano scomparendo. E io penso sia destino che scompaiano, e che sia giusto, perché abbiamo tutti di fronte un cambiamento inevitabile, un'idea tutta diversa di progresso. Siamo tutti obbligati a cambiare. Lo stupendo analista mediorientale Iyad el Baghdadi ha scritto in queste ore che gli Stati Uniti stanno da tempo cambiando identità, e che questo cambiamento provoca resistenze traumatiche e dolorose, ma li renderà migliori. E io penso e spero che abbia ragione. E che potrò tornare.

Grazie a tutti, un grande abbraccio e ci sentiamo la settimana prossima!
Marina

Share this post

La resa dei conti

alaskahub.substack.com
Comments
TopNewCommunity

No posts

Ready for more?

© 2023 Marina Petrillo
Privacy ∙ Terms ∙ Collection notice
Start WritingGet the app
Substack is the home for great writing