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Marina Petrillo
Jun 30, 2019
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080. femmine

care e cari Patron,
mi sono seduta un bel po' a cercare di scrivere qualcosa su Carola Rackete, ma non ci sono riuscita. Lampedusa, con quel molo, quelle luci di barche nel buio, quelle porticine di Guardia di Finanza, è troppo vicina per me, troppo familiare e struggente il momento in cui uno dei naufraghi a bordo, finalmente libero di scendere, si ferma sulla passerella di Sea Watch 3, prima a guardare indietro e salutare chi l'ha salvato, e poi a guardare un momento avanti, a terra, verso quello che lo aspetta. E poi ad aspettare quella nave c'erano le mie amiche di Sea Watch, e le mie amiche e colleghe eccezionali che ne hanno poi scritto sui giornali nazionali e internazionali (tutte femmine sì - Federica, Giorgia, Annalisa, Marta e così via), e ho passato una gran parte di queste ore con le lacrime agli occhi. Non si scrive bene con le lacrime agli occhi.

Insomma, ogni volta che provo ad articolare la forza che mi ha dato vedere Carola Rackete prendere quella decisione di entrare in porto a Lampedusa - una giovane persona seria impegnata a capire ciò che per lei è giusto e a farlo, a) in un modo competente, e b) pronta ad accettarne le conseguenze - mi sono bloccata. Possibile che l'altezza vertiginosa di un gesto simile vada spiegata? La concentrazione morale che ci vuole per ragionare con lucidità fra 40 persone esauste da 15 giorni di mare, e ministri che ti chiamano "sbruffoncella"? Che in tanti non la capiscano, o la temano, o la condannino? E che davvero questo governo ci stia costringendo a reagire daccapo a ogni immagine, a ogni nave, mentre i nostri problemi sociali più profondi restano irrisolti? E le parole a cosa ci servono, ora che vengono annegate dalle catene automatizzate di "eh ma", dalle domande reiterate ogni volta da tre anni anche se diritto e giornalismo hanno già dato e ridato dato fior di risposte ("ma perché non li sbarcano altrove")?

E poi sono ancora ipnotizzata dallo shock di quegli insulti uditi sul molo di Lampedusa - pochissimi, ci ha raccontato chi era lì fra le decine di lampedusani solidali, ma esplosi a favor di telecamera mentre gli agenti guardacaso trattenevano Carola prima di farla salire sulla volante. L'augurio dello strupro. Di nuovo.
"L'ho detto perché ero ubriaco".
In Italia augurare lo stupro è un modo di dire?
Di nuovo.

Poi ieri Milano è esplosa di gioia e fierezza col Pride, e tanta tanta gente aveva cartelli e messaggi per Sea Watch, e c'erano tante femmine, di tanti tipi di diversi, e ho pensato che il Pride può davvero essere una delle case del femminismo. Non c'è diritto di nessuno se non c'è diritto di tutti, non c'è rispetto per nessuno se non c'è rispetto per ognuno, ed è sempre più evidente che dobbiamo fondere le battaglie perché esse non sono mai separate.

No, non ho scritto niente di quello che avevo in mente, non m'è riuscito. Solo questo, per dirvi che metto qui tre cose che secondo me c'entrano.
Annalisa Benini ha scritto un pezzo, serio e asciutto com'è stata Carola Rackete in queste ore.
Lara Tomasetta ne ha scritto un altro sul sessismo, partendo da alcune osservazioni sulla nazionale femminile di calcio che giocava nelle ore del grande gesto di Carola.
E infine, una riflessione di una gigantessa del femminismo come l'argentina Rita Segato, che spiega perché la violenza sulle donne aumenta in tempi di incertezza economica e ingiustizia sociale, tanto per ricordarci (il ministro vorrebbe che ce lo dimenticassimo) che le battaglie da fare sono molto a monte, e che in assenza di risposte, le persone si prendono la prima risposta che passa.

Grazie a tutti, vi abbraccio, vi auguro un bellissimo luglio e non vi lascio mai, ci sentiamo domenica prossima.
Marina

Ps continuate a mandarmi segnalazioni delle vostre newsletter o dei vostri progetti!

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