Perché andrò a votare
Hanno speranza persone e comunità a cui è stato davvero portato via tutto – chi siamo noi per non avere più speranza?
Mi costa, scrivere questo. Perché pure io sono arrabbiata e schifata dallo scenario politico in cui ci tocca pescare qualcuno o qualcosa da votare. Però guardate, questi fascisti che vorrebbero prendersi il Parlamento (e ai quali abbiamo già dato parecchi aiutini per arrivarci) nello sconforto degli elettori sguazzano come in un brodino tiepido.
Le questioni sono le stesse in tutto il mondo, difficili come può essere difficile la fine di un’epoca. Enormi, a volte paralizzanti: come si cambia strada? Come si ricostruisce il lavoro con i suoi diritti? Come si restituisce dignità alla cultura e allo studio? Come si pulisce un mondo avvelenato? Come si mette fine a sistemi violenti e colonizzanti? Come ci si toglie - paesi e persone - il patriarcato dall’anima? Come si fa spazio per tutti senza che nessuno si senta minacciato? Come si rallenta? Come si cambia idea di progresso? Come si ascolta davvero chi è inferocito e smarrito? Come si toglie dalle spalle dei singoli l’onere di guarire da una depressione che in realtà è collettiva? Come si trasforma la propria rabbia in energia? E come si fa a campare ogni giorno riuscendo pure a levare lo sguardo quel tanto che basta per dire la propria e contribuire alla conversazione pubblica?
Continuo a pensare a una cosa che ha detto Damon Albarn dei Blur. Dice che a lui la vittoria di Brexit ha messo non rabbia ma tristezza, perché è stata il suggello di un desiderio collettivo di estinzione, come assistere a un suicidio nazionale di massa. Io questa pulsione di morte la vedo e la sento ovunque. Il lavoro di questa particolare marca di fascisti, dagli Stati Uniti all’Ungheria, è proprio quello di fornire agli elettori un pacchettino di risposte tarocche ad angosce vere e inascoltate. Eccola, la fine della storia, l’inutilità della pace, la delega di morte.
Eppure, minuscole erbe verdi spuntano fra la sterpaglia, e noi non possiamo vivere senza speranza. Hanno speranza persone e comunità a cui è stato davvero portato via tutto – chi siamo noi per non avere più speranza? Accadono cose incredibili, idee meravigliose spuntano ovunque – chi siamo noi per dire che non può più accadere?
La speranza è l’unico modo in cui possiamo riparare i legami sociali che questi fascisti devono distruggere per potersi riprodurre. La strada è lunga, per uscire dalla politica-marketing e creare qualcosa che perfino nel farsi, prima ancora di pensare a vincere, ci unisca e ci guarisca. In Georgia ci sono migliaia di giovani afroamericani che vanno di casa in casa per spiegare alle persone che devono prendersi, o riprendersi, il loro diritto di voto. Ecco, il lavoro di questa particolare marca di fascisti è dirci che sperare non serve, rivoltarsi non serve, amare e aiutarsi non serve, e che non serve votare, a meno che - magìa - non votiamo per loro.
Allora andiamoci, a votare. Anche se dovesse diluviare, andiamo a votare. Anche se le gambe non vanno ed è l’ultima cosa che vorremmo fare, andiamo a votare. Anche se perderemo, andiamo a votare. Anche se ci sembra di non crederci più, andiamo a votare. Troviamo quella persona, ne basta una, di cui ci fidiamo - se possiamo una donna, un giovane, una persona di cui conosciamo il lavoro sul territorio – e due o tre punti di un programma elettorale che per noi sono profondamente importanti, e andiamo a votare. Cerchiamo, dove possibile, di mandare anche un messaggio, di rendere chiara la nostra intenzione. E ricordiamoci che, anche se ci pesa, la politica è fatica e non finisce col voto, soprattutto alla fine di un’era, e che se andiamo a votare col cuore dolente non vuol dire che non sia importante. Forse stavolta lo è più che mai, prima che provino a toglierci anche questo.