Alaska newsletter 09
Alaska, the newsletter
o9. spazi pubblici
Buongiorno cari amici e sostenitori, tenete duro perché le giornate si allungano, la primavera sta arrivando e sono qui per mandarvi alcune piccole cose belle, nella speranza che facciano da antidoto al triste clima della campagna elettorale italiana. Intanto siamo temporaneamente un po' fermi con la crescita della mia campagna su Patreon, ma non certo con il lavoro che il vostro sostegno mi sta già permettendo di fare: la scrittura del libro procede, stanno per partire due proposte editoriali per il libro ad altrettanti editori, e sto cominciando a impratichirmi di podcast-versione-solista (aver fatto radio per 20 anni aiuta ma non basta!).
Spazio pubblico
Chi si appropria dei cavalli selvaggi per mandarli ai macelli messicani clandestini di fatto viola l'unico e ultimo spazio pubblico dell'ovest americano. Lo ha scoperto nel corso delle sue battaglie una donna senzatetto, Laura Leigh, che negli ultimi dieci anni è diventata la più nota (e vittoriosa) attivista per la tutela di questi animali. Il loro spazio vitale coincide spesso con la delimitazione federale delle terre considerate monumento nazionale americano - spazi che l'amministrazione Trump ha già provato a restringere. Laura Leigh spiega che non solo gli americani rischiano di perdere i cavalli selvaggi, ma anche la terra su cui i cavalli vivono. L'unica terra che sia davvero di tutti. La sua storia, anticipata da un video e un articolo del New Yorker, è nel documentario di Andrew Ellis "Saving the Wild Horses of the American West".
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La giornalista indipendente inglese Laurie Penny mi è molto cara. Il suo libro sulla crisi greca "Discordia" con le illustrazioni di Molly Crabapple è stato una grande ispirazione per me, e così la sua campagna su Patreon per finanziare i suoi progetti di giornalismo. Una delle cose che Laurie aveva messo in conto quando ha fatto partire la sua campagna era che l'indipendenza datale dai suoi sostenitori le avrebbe permesso di scrivere senza peli sulla lingua come di rado poteva fare su "The New Statesman" e altre testate. Ebbene, la dimostrazione è un lungo articolo pubblicato in questi giorni da Longform, "We're not done here" ("Non abbiamo finito"), con cui Laurie Penny risponde a tutti i tipi di critiche piovuti sul movimento #metoo contro stupri e molestie, e disegna le vittorie e le sfide del nuovo femminismo; per Laurie Penny, lo spazio pubblico del dibattito sul rapporto fra sesso e potere (un campo sui cui torti, dice, pensare di saperne più delle donne è come pensare "di invadere la Russia d'inverno") sconfina continuamente nel privato - non tanto nel senso della camera da letto, piuttosto del modo in cui le opinioni sociali prevalenti feriscono e condizionano i comportamenti privati delle donne. Non è solo una delle cose più potenti e dirette fra tutte quelle che ho letto finora su #metoo e i suoi detrattori, ma anche uno straordinario esempio di scrittrice che ritiene importante pesare nel dibattito pubblico.
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Negli ultimi tre anni ho girato come una trottola, un viaggio dietro l'altro, ma come spesso accade, la più grande ispirazione l'ho trovata in una meta non proprio lontana: di rado - e di certo non in Italia né negli Stati Uniti - ho sperimentato la sferzata di energia, ironia, cultura, inventiva, vita condivisa e autorganizzazione che ho vissuto l'anno scorso in una Salonicco flagellata dalla crisi economica, dalla delusione politica, dalla pressione dei flussi migratori e dal ringalluzzimento dei neo-nazisti. In mezzo a tutto questo, l'amore dei greci per l'accoglienza di chi viene da fuori, e un straordinario, orgoglioso senso di riscatto, mi hanno invece strappato alla mollezza lamentosa del mio paese. Parte di queste osservazioni, e della voglia di tornarci al più presto, le ho ritrovate in questo pezzo di Anya von Bremzen sul ruvido riscatto di Atene.
Grazie a tutti, tanti auguri affettuosi, e ci sentiamo la settimana prossima!
Marina
La fotografia di questa settimana è "Cartoleria, Salonicco", settembre 2017
