L'anno perduto non è affatto perduto
Alaska, the newsletter
142. L'anno perduto non è affatto perduto
Che cosa è stato? Confondo l’anno col virus e il virus con l’anno.
Tutti gli anni hanno qualcosa che fa parte del passato e qualcosa che fa parte del futuro, ma questo no. Questo è puro. Puro presente, inchiodato alla sua pandemia. Appena un picco epidemico passa, come un brutto uragano, sai che ha soltanto raggiunto un altro posto. Se hai un’anima, sai di non poter essere felice finché c’è qualcuno che si ammala, o che ha paura quanta ne hai avuta tu, o soffre come hai sofferto tu piangendo gli amici, i famigliari. E siccome confondo il virus con l’anno, e so di confonderlo, all’inizio di dicembre comincio a sospettare che la fine dell’anno non porterà la fine di niente.
Non so voi, io non riesco a fare il tifo per niente, ad abbandonarmi all’entusiasmo per niente. Sono diventata diffidente verso gli slanci di massa, le commozioni, gli sdegni, compresi i miei. A primavera, nel lusso di un lockdown monastico a curare una rosa fra una call e l’altra, le domeniche passate a dare una mano, credevo di aver trovato una lezione profonda del virus: semplicità, comunità, essenzialità, amicizia con tutti gli esseri. Non avevo bisogno di nient'altro. Nel secondo lockdown mi pare mi resti solo delusione: quella condivisione si è dissintonizzata, sfocata, e ormai so cose della nostra condivisa umanità che non credo dimenticherò facilmente quando verrà il momento di uscire. Rispettare i divieti è così poco chic che ormai ce lo teniamo per noi. Quel grido di ribellione e libertà... per reclamare di poter raggiungere la seconda casa. Un amico che organizza una simpatica uscita di gruppo perché non vuole “essere sempre triste per forza”, mentre gli altri a schiere perdono il lavoro e a malapena escono per un funerale - il 643° solo oggi.
Siamo veri prigionieri del consumismo, afflitti da un conformismo inquietante, viziati, abituati troppo bene ma anche ostaggi, ancora illusi che la nostra felicità possa esistere senza quella degli altri, e di poter andare a scrocco ancora per un po' con risorse finite da un pezzo. Pensiamo da clienti e da consumatori anziché da cittadini, posto che per riuscirci bisognerebbe venire in primo luogo trattati come tali. Non ci assumiamo responsabilità. Temo che qualcosa continuerà a schiaffeggiarci finché non avremo imparato.
L'anno in cui ho fatto l'acquisto più previdente della mia vita (una cyclette, due giorni prima del lockdown) e allo stesso tempo ho capito con una chiarezza sconvolgente cosa vuol dire “superfluo”. L’anno in cui ho capito che non ci può essere giornata senza fare qualcosa con le mani. L’anno che ricorderò perché avevo un tetto sulla testa, un lavoro, fortunata perfino nell'aver sempre amato stare a casa da sola. L’anno delle infinite gentilezze, delle chiamate su Zoom ritrovando amiche insostituibili, delle fitte di nostalgia per i lunghi viaggi in treno dopo le abbuffate di voli low cost per lavoro del mio passato recente. L’anno di George Floyd che non hanno lasciato respirare, l'anno di Black Lives Matter, l'anno in cui hanno cacciato Trump. L'anno in cui il mio presidente della Repubblica è stato ZeroCalcare, l'anno in cui abbiamo fatto un crowdfunding stupefacente per salvare la vita al gatto Lagna. L'anno delle sere passate a casa a guardare The Last Dance quasi come se fossimo insieme. L'anno in cui devo aver perso due diottrie su whatsapp.
Non me lo dimenticherò. Aspettare e poi smettere di aspettare, bimbi arrivati quando i genitori non speravano più. L'anno in cui sono riuscita a finire di scrivere il mio libro, e adesso ho qualcosa di bello a cui guardare.
L'anno che ha schiacciato il tasto pausa, solo che l'ha fatto troppo a lungo. L'anno che ha chiuso tutti i file che avevo aperti da cinque o sei anni. L'anno in cui spesso vi ho annunciato che avrei parlato di questo o quello e poi ho cambiato idea. Perché anche nel tempo fermo, per fortuna, non c'è un giorno uguale all'altro. L'anno in cui ho perduto la mia città e non so se la ritroverò, perché il virus odia le città, e magari ha ragione.
Fra poco riprenderanno ad allungarsi le giornate. Per parte mia, non darò più nessuna luce per scontata. L'augurio più affettuoso che mi sento di fare a tutti noi è che staremo bene, che avremo ciò di cui abbiamo bisogno e che saremo capaci di farcelo bastare. Del dopo non so nulla, ma ho speranza. L'importante è che saremo insieme.
Grazie a tutti anche per questo anno, vi abbraccio forte e ci risentiamo con cose nuove in quello nuovo.
Marina