anziani
Alaska, the newsletter
139. anziani
Care e cari,
in questi giorni la testa è consumata dal lavoro, dallo sconforto per gli amici toccati dal ricovero o dalla sofferenza di un parente o un altro amico, dalle notizie deprimenti che sono arrivate per tutta la settimana dall'Egitto, dove le forze di sicurezza stanno cercando di cancellare a forza di arresti l'ultima grande Ong per i diritti umani (e le reazioni internazionali sono, a cominciare dall'Italia, molto deludenti). Sento che siamo tutti un po' a corto di ispirazione, un po' sperduti nell'attesa, e che abbiamo perso anche lo slancio coraggioso del primo lockdown. Non riesco veramente a immaginare una vita come quella di prima, anche quando ci saremo lasciati tutto questo alle spalle. La gerarchia d'importanza delle cose si è spostata, i desideri sono cambiati, le nostalgie del prima potrebbero restare con noi per sempre, e sento che dovremo essere molto più austeri e molto più essenziali. Allora vi mando due cose, una da vedere e una da leggere, che mi hanno scaldato il cuore in questi giorni.
David Attenborough ha 93 anni, sa di aver vissuto un'esistenza privilegiata e straordinaria, a cavallo fra l'esplosione del progresso tecnologico dopo le guerre mondiali e il suo amore per il naturalismo, e vuole lasciare come testamento un film che si chiama "A Life on our Planet". Basta guardare le statistiche che ci presenta per capire che il grosso della rapida distruzione del pianeta per mano dell'uomo si è consumata negli ultimi 50 anni. E basta una delle gloriose inquadrature del film per ricordarci che di questa bellezza infinita abbiamo ancora poco tempo per occuparci, invertendo la rotta e rimediando agli sbagli, e trovando un equilibrio completamente diverso anche nel rapporto con le altre specie viventi. In fondo, bastano queste immagini per farci capire perché ci siamo ammalati.
E poi, ad aprile è mancato, dopo essere stato contagiato dal Covid19, un signore di 85 anni che si chiamava Tim Robinson. Aveva dedicato la sua vita a fare "deep mapping" (un'esplorazione multidisciplinare di un microcosmo, profonda e prolungata nel tempo) della regione d'Irlanda in cui era cresciuto, il magnifico Connemara, che percorreva con lunghe e lentissime passeggiate a piedi. Nella New York Review of Books, Colin Thubron dedica una lunga recensione alla ristampa del primo volume della sua trilogia sul Connemara, insieme alla storia del vento scritta da Lyall Watson.
Grazie a tutti, un grande abbraccio, abbiate cura di voi e ci sentiamo la settimana prossima.
Marina