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Marina Petrillo
Sep 30, 2020
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131. Tre Americhe

care e cari Patron,
più mi preoccupo per le sorti del mondo, più trovo donne straordinarie che mi ispirano, giornalisti cocciuti, discussioni entusiasmanti. Negli Stati Uniti è buio pesto (ancor di più dopo dibattito rissoso e geriatrico della notte scorsa). Non solo si sono superati i 200 mila morti da Coronavirus, ma Trump sembra avere il disegno preciso di rendere infido il processo elettorale - quasi non importa chi vincerà, l'importante, come già nella tradizione delle fake news, è demolire la fiducia collettiva che regge l'intera concezione democratica. Come ci spiega Barton Gellman questa settimana in un chilometrico, strepitoso saggio per The Atlantic, la fiducia è talmente alla base della democrazia americana, che se qualcuno si mette in testa di incepparla cavillo per cavillo, può riuscirci. Rifiutando di ammettere la sconfitta, o togliendo il risultato dalle mani degli elettori, o ritardando i passi verso l'insediamento al punto da farlo saltare.

Gellman ha parlato con i think tank e le università che stanno studiando i probabili scenari, e ha cucito tutto in una sequenza che mette i brividi. Al lettore italiano - che forse non colse nel 2000 l'importanza storica dell'ammissione di sconfitta di Al Gore in Florida nonostante ci fossero ancora strumenti per contestare il risultato - permette anche di conoscere meglio il sistema elettorale americano e il clima che si è creato negli ultimi mesi - in sostanza, la vera qualità dell'eversione di Trump. Poiché il saggio è da non perdere ma anche arduo e lunghissimo, la cara Sarah Tuggey (amica e Patron!) lo ha tradotto integralmente e lo trovate qui.

Negli stessi giorni, due luci straordinarie, da due donne immigrate di prima generazione negli Stati Uniti che amo e rispetto profondamente. La poetessa e saggista Claudia Rankine, che fece già incetta di premi con Citizen, ha pubblicato una nuova raccolta di saggi (anche qui con intersezioni poetiche e grafiche). In Just Us (qui l'intervista del Guardian e qui la recensione del NYT) estende agli uomini bianchi sconosciuti che incontra negli spazi interstiziali come aerei e aeroporti, la conversazione permanente che ha con suo marito, che è bianco e da sempre si occupa di diritti civili, sul privilegio bianco e l'esperienza della discriminazione che lei fa sulla propria pelle in ogni ambito sociale. Prima di tutto mirabile perché scritto prima della nuova ondata di Black LIves Matter, e coraggioso perché spezza la chiusura e l'omertà delle conversazioni, è anche scritto in modo meraviglioso, e riesce di nuovo ad apparire come un classico letterario nonostante si occupi strettamente del qui e ora.

La scrittrice nigeriana-americana Chimamanda Ngozi Adichie ha perso il padre, che, anziano, è mancato lontano da lei, in Nigeria, il paese d'emigrazione che i suoi libri esplorano così profondamente. Nella dimensione distorta delle distanze e dei mancati abbracci della pandemia, ha scritto un saggio sul lutto per suo padre che è un capolavoro, un ritratto formidabile della paternità riuscita di una femminista, dell'età adulta, dell'eredità morale, della Nigeria, e della potenza della scrittura di costruire dove si distrugge.

Grazie a tutti, un grande abbraccio e ci sentiamo la settimana prossima!
Marina

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