Alaska newsletter 005
Alaska, the newsletter
o5. L'anno che verrà
Ciao, vi immagino impegnati in viaggi di fine anno, nevi e città, o rintanati con un buon libro fra preparativi e buoni propositi. È stata una settimana molto tranquilla anche per la mia campagna su Patreon - ai cui donatori, come voi, è riservata la newsletter - anche se siamo arrivati al 46% dell'obiettivo :)
Questo quinto numero è dedicato, naturalmente, a tre cose che potrebbero servirci in questo nuovo inizio.
L'anno che verrà
La prima cosa che vi propongo è una specie di gioco, Year Compass, che nacque la sera di Capodanno del 2013 da un gruppo di amici ungheresi riuniti a cena per festeggiare. Quella sera crearono un piccolo set di domande per fare insieme un bilancio dell'anno appena trascorso e per lanciare i loro desideri per l'anno nuovo. Il template del libretto che raccoglieva le loro domande, appena condiviso online, divenne virale. Da allora, lo aggiornano ogni anno e man mano aggiungono traduzioni in altre lingue. Il libretto per il 2017/2018 si scarica gratuitamente qui (senza condividere dati o altro), potete stamparlo nel formato che preferite, e compilarlo da soli oppure con un gruppo di amici.
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La seconda cosa è un'ispirazione. o almeno spero. Credo che nell'anno nuovo, per fare fronte alle spinte più nere, dovremo prenderci cura di molte cose e chiavi per il cambiamento - cultura, arte, consapevolezza degli strumenti digitali, femminismo, lotta al privilegio a cominciare da noi stessi, messa in discussione di modelli obbligati.
A ben guardare, di ispirazione intorno ce n'è parecchia. In uno dei podcast più recenti di On Being di Krista Tippett, lo scrittore dominicano-americano Junot Diaz ha proclamato la necessità di una "speranza radicale", nella convinzione che nuove forme di resistenza e di lotta politica siano possibili, ma che non possano prescindere da un rifiuto dello status quo e del conformismo (qui c'è la trascrizione del podcast): "la nostra vita pubblica fa schifo. La nostra vita pubblica è come un bambino di tre anni squilibrato, e con questo non vorrei offendere i bambini di tre anni [...] Non siamo [gli americani] una cultura che ha messo nel proprio pensiero, nel proprio immaginario civico, la contemplazione, il lutto, o l'elaborazione di emozioni difficili. Non fa parte della nostra società, e dove la società trascura un aspetto, siamo noi che dobbiamo raccoglierlo. La società ci dà una formazione distorta [...] Sta a noi essere riflessivi, complessi, sottili, sfumati, creare spazio per queste cose che nella società non hanno spazio, perché dopotutto direi che non c'è nulla di più cruciale dell'essere disallineati rispetto alla linea emotiva dominante della società [...] Essere disallineati rispetto agli schemi emotivi egemonici, questa altroché se è una virtù".
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Come terza cosa, sempre per lanciare in là speranze per l'anno nuovo, ho scelto un gioiellino pubblicato qualche settimana fa dal Guardian: alcuni scrittori inglesi raccontano, nella tremenda imminenza dell'uscita della Gran Bretagna dall'Unione Europea, cosa ha significato per loro scoprire l'Europa, come ha influito sui loro gusti culturali, alimentari, di viaggio, come li ha formati, come ha cambiato la loro stessa inglesità. E una delle cose più dolci, leggendo, è la consapevolezza di quello che a nostra volta come europei potremmo raccontare di quello che dobbiamo alla "scoperta" della Gran Bretagna, alla sua presenza culturale. Stupendi debiti reciproci, che ci tengono vicini nonostante le mortificazioni apparenti dello scenario politico più immediato.
Saper guardare in là, sapere cosa dobbiamo cambiare, rallentare, non perdere fiducia, fare un buon lavoro, e voler bene - sono le cose che mi auguro per il 2018 per voi e per me.
Buon anno a tutti, e grazie, alla settimana prossima!
Marina
La fotografia di questa settimana è "Il Vivaio Riva chiude, dopo più di cento anni", dicembre 2017
