Lampedusa
Alaska, the newsletter
081. Lampedusa
care e cari Patron,
non riesco a smettere di pensare a Lampedusa. Sono convinta che nella battaglia sulla solidarietà non si possa più farsi ridurre a un soccorso alla volta, ma sia necessario - con tremendo ritardo - riprendere un'azione politica nazionale ed europea per affrontare la questione, senza lasciare enormi rischi e responsabilità ai volontari. Nel frattempo però, come sanno alcuni amici con cui sollevo spesso l'argomento, mi chiedo perché si racconti solo di rado qual è lo scenario più ampio in cui vive l'isola che è diventata suo malgrado il simbolo del dibattito sull'immigrazione (poco importa che fosse prima con l'orrore destato dai naufragi e raccolto dall'operazione Mare Nostrum, e oggi con gli insulti a Carola Rackete e la Lega lampedusana). Io stessa ero stata spedita per questo motivo a Lampedusa nel 2015 e ai miei editori non sembrava interessante raccontare le altre cose che invece lì è stato inevitabile notare.
Un tentativo di contesto lo ha fatto in questi giorni, come sempre benissimo, Annalisa Camilli di Internazionale a margine della vicenda Sea Watch, incontrando fra l'altro l'ex senatrice della Lega che ha aizzato le proteste al molo.
Ma penso che non sia possibile comprendere la vita di Lampedusa -altrimenti considerata un paradiso naturale - senza parlare di alcune altre cose, per cui vi suggerisco altre due letture. Un elemento ineludibile è l'occupazione militare dell'isola, con una base Nato che requisisce un pezzo importante di territorio e un costante traffico militare via aria e via mare. Ai lampedusani è di fatto delegata una parte cospicua della "sicurezza" dei confini, lontano dagli occhi e dal cuore degli altri italiani. È di poche settimane fa un divieto di accesso alle coste sancito per ragioni ambientali dalla procura di Agrigento, che, al di là del danno al turismo, molti abitanti temono possa poi agevolare la cessione ai militari di altri tratti di costa. Le associazioni dell'isola cercano anche di documentare le ricadute sulla salute delle sofisticate apparecchiature di sorveglianza. A maggio è stato inaugurato a Capo Ponente il nuovo radar militare, e qui trovate un approfondimento tecnico e una panoramica delle reazioni.
Infine, anche senza entrare nel merito delle speculazioni edilizie e di una percepibile presenza malavitosa nelle attività turistiche, Lampedusa continua a non avere un ospedale attrezzato e soffre da anni di un isolamento terribile, dovuto alla mancanza di collegamenti congrui con la Sicilia e la terraferma, e questo la rende vulnerabile dal punto di vista medico, dell'accesso scolastico e al lavoro, e dello smaltimento dei rifiuti. L'ultimo segnale di forte disagio lo hanno dato gli operatori ecologici dell'isola, rimasti a lungo senza stipendio, e senza risposte sulla discarica, andata a fuoco lo scorso giugno.
Insomma, Lampedusa è uno di quei posti dove anche quando si accendono i riflettori, certe cose non si illuminano mai, e frammenti di profondo disagio si mescolano quasi inavvertitamente alla propaganda sull'immigrazione. Temo che sia così in molte parti d'Italia, e una gran parte del lavoro che dovremmo fare sta nel riportare l'attenzione sulle questioni pressanti del territorio. Come commentava una volta una collega norvegese a conclusione di un faticoso dibattito sul discorso d'odio, "la cosa triste è che scavando nello scontro sull'immigrazione, dei migranti non resta mai nulla. Le questioni cruciali sono sempre altre, loro sono solo un alibi".
Grazie a tutti, un grande abbraccio e ci sentiamo la settimana prossima!
Marina