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Shawkan e gli altri

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Marina Petrillo
Feb 20, 2019
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Alaska, the newsletter
062. Shawkan e gli altri

care e cari Patron!
scusate ancora l'eccezionale assenza della settimana scorsa, essendo saltata la newsletter il mercoledì precedente è saltata anche per voi la domenica - come molti di voi sono ancora in preda ai postumi dell'influenza, ma almeno possiamo riprendere le nostre abitudini. Nel frattempo, questa settimana ho scritto una cosa soltanto per i miei Patron - è un aggiornamento sul procedere del libro, un pochino di racconto su dubbi e fantasmi che lo accompagnano, e un annuncio su cosa mi piacerebbe fare nei prossimi anni, coinvolgendo anche chi di voi lo vorrà. Per adesso è solo una specie di "coming out", perché la cosa difficile sarà trovare le risorse per attuare questi progetti, ma a me sembra già tanto aver capito cosa voglio fare "dopo" e poterlo condividere con chi mi sostiene.

Stavolta, per un insieme di motivi, la newsletter è dedicata all'Egitto. Non solo perché per me, scrivendo il libro, è una presenza continua, ma perché oggi mentre vi scrivo stiamo aspettando da cinque giorni l'annuncio della scarcerazione di Shawkan, un giovane fotogiornalista che venne arrestato mentre faceva il suo lavoro il giorno della strage di Rabaa e che da allora ha passato cinque anni e mezzo in carcere senza ragione. Se davvero oggi lo lasceranno andare, uscirà in un Egitto che in cinque anni ha percorso esattamente il disegno che avevano in mente i militari fin dal giorno del suo arresto, col silenziamento di ogni dissenso e l'utilizzo quotidiano della tortura e della pena di morte, e oggi, una grande strada senza ostacoli verso l'allungamento dei mandati presidenziali, che permetterà a el Sisi di governare fino al 2032 (Declan Walsh qui racconta bene come ci è riuscito).

Intanto è uscito finalmente la settimana scorsa su Mubi In the Last Days of the City di Tamer El Said, un film stupendo ambientato al Cairo appena prima della rivoluzione - tre amici trentenni che hanno studiato cinema insieme si confrontano a distanza sul destino del Cairo, di Baghdad e di Beirut. Poetico, guidato dalla faccia irresistibile di Khalid Abdalla (anglo-egiziano, oltre che attore e regista è stato uno dei portavoce della rivoluzione egiziana sulle tv internazionali), dice tanto dell'ossessione urbana di questa generazione che ha provato a cambiare una storia centenaria letteralmente rimettendoci la vita. Censurato al Cairo, difficile da trovare, ora che è su Mubi me lo sono guardato tre volte, anche perché dopo 30 giorni lo tolgono.

Infine, a proposito di rivoluzione egiziana e di ossessioni urbane, proprio questa settimana è uscito Fuga dall'Egitto, nuovo libro della mia amica Azzurra Meringolo, che al paese dedica una parte profonda del suo lavoro di giornalista. È un'indagine sulla diaspora egiziana del dopo golpe, fatta di tutti coloro che sono fuggiti, che sono stati "invitati" a lasciare il paese o non possono rientrarvi per timore di rappresaglie, o che si sono trovati obbligati a espatriare solo per poter continuare a lavorare - e su come il loro lavoro politico prosegue dall'esilio, creando nuove comunità dislocate di attivisti, da Berlino a Washington. Io le ho dato una piccolissima mano mappando dove si trovano oggi le centinaia di persone i cui tweet usai nel 2011 per raccontare la rivoluzione - ad aprile lo presenteremo a Milano, ma intanto lo trovate in libreria.

Grazie a tutti, un grande abbraccio e ci sentiamo la settimana prossima!
Marina

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