mappe migranti
Alaska, the newsletter
030. contromappe
cari tutti,
vi penso molto, in questi giorni. Vi ho scritto su Patreon dei grandi progressi che mi state permettendo di fare con la scrittura e con il podcast, e non solo. Ma vi penso anche perché il mondo va alla rovescia.
Per conoscerlo bisogna fare e rifare mappe - mappe di senso, mappe soggettive (non lo sono forse tutte, ci ricordano i cartografi), mappe con diverse intensità di calore. Le città, in particolare, si plasmano proprio nell'esperienza di chi le abita, e se chi le abita è migrante, magari in attesa di asilo, costretto in un limbo che rimpicciolisce il mondo, si plasmano anche nello sguardo di chi viene da fuori.
Per la Giornata Mondiale dei Rifugiati mi sono trovata a Bologna - in un posto adorabile, il teatro in cortile dell'Arena del Sole - a parlare brevemente insieme ad altri colleghi e studiosi partendo dalle parole sull'immigrazione che Amnesty International ha mappato nel corso dell'ultima campagna elettorale. Ma questo appuntamento di Atlas of Transitions è stato soprattutto una specie di riflessione collettiva, che si intrecciava alle mappe di Bologna che alcuni richiedenti asilo hanno realizzato e presentato nel grande cortile. Nei loro lavori, i luoghi amici e sicuri, i luoghi d'abitudine, i percorsi, i luoghi di pericolo - fra questi, spesso, la Questura, ma anche i luoghi di spaccio dai quali stare lontani, o i distributori di benzina, che nei paesi africani sono spesso fonte di incidenti e incendi. Dai loro racconti riemergeva il senso profondo di cosa rende una città quello che è per ognuno di noi al di là dei punti di riferimento, dei monumenti o dei servizi: abitudini, uso quotidiano, cibo, studio, condivisione culturale, invisibili reti di amicizia.
Mi ha ricordato le mappe di "Una città sradicata" di Nausicaa Pezzoni, che mostra e racconta come i rifugiati vedono Milano, compresa la sua rete di trasporti pubblici. Le mappe che ho visto a Bologna e quelle del libro hanno in comune - oltre al segno spesso infantile, come quello di chiunque di noi non abbia dimestichezza con il disegno - la dolorosa consapevolezza di non aver ancora conquistato un'immagine mentale completa della città, una tensione fra la provvisorietà della propria condizione e un desiderio di mimesi e di esplorazione e di appartenenza. E anche, un occhio attentissimo agli spazi pubblici, i parchi e i giardini prima di tutto, non solo perché chi non ha casa e non ha risorse per consumare li vede come unico possibile luogo di ritrovo, ma perché spesso nei paesi di provenienza la natura è molto presente nella vita pubblica.
Mappare è un rovesciamento dei rapporti di potere, un atto di appropriazione della realtà per chi, spesso trattato come membro di una categoria astratta, è più abituato a essere mappato, spesso allo scopo di essere controllato. Come dice Cartografias Tacticas, "la mappa non è territorio, ma produce territorio". Vale la pena leggersi o rileggersi questo studio del 2013 sulla potenza politica delle "contromappe".
cari tutti,
vi penso molto, in questi giorni. Vi ho scritto su Patreon dei grandi progressi che mi state permettendo di fare con la scrittura e con il podcast, e non solo. Ma vi penso anche perché il mondo va alla rovescia.
Per conoscerlo bisogna fare e rifare mappe - mappe di senso, mappe soggettive (non lo sono forse tutte, ci ricordano i cartografi), mappe con diverse intensità di calore. Le città, in particolare, si plasmano proprio nell'esperienza di chi le abita, e se chi le abita è migrante, magari in attesa di asilo, costretto in un limbo che rimpicciolisce il mondo, si plasmano anche nello sguardo di chi viene da fuori.
Per la Giornata Mondiale dei Rifugiati mi sono trovata a Bologna - in un posto adorabile, il teatro in cortile dell'Arena del Sole - a parlare brevemente insieme ad altri colleghi e studiosi partendo dalle parole sull'immigrazione che Amnesty International ha mappato nel corso dell'ultima campagna elettorale. Ma questo appuntamento di Atlas of Transitions è stato soprattutto una specie di riflessione collettiva, che si intrecciava alle mappe di Bologna che alcuni richiedenti asilo hanno realizzato e presentato nel grande cortile. Nei loro lavori, i luoghi amici e sicuri, i luoghi d'abitudine, i percorsi, i luoghi di pericolo - fra questi, spesso, la Questura, ma anche i luoghi di spaccio dai quali stare lontani, o i distributori di benzina, che nei paesi africani sono spesso fonte di incidenti e incendi. Dai loro racconti riemergeva il senso profondo di cosa rende una città quello che è per ognuno di noi al di là dei punti di riferimento, dei monumenti o dei servizi: abitudini, uso quotidiano, cibo, studio, condivisione culturale, invisibili reti di amicizia.
Mi ha ricordato le mappe di "Una città sradicata" di Nausicaa Pezzoni, che mostra e racconta come i rifugiati vedono Milano, compresa la sua rete di trasporti pubblici. Le mappe che ho visto a Bologna e quelle del libro hanno in comune - oltre al segno spesso infantile, come quello di chiunque di noi non abbia dimestichezza con il disegno - la dolorosa consapevolezza di non aver ancora conquistato un'immagine mentale completa della città, una tensione fra la provvisorietà della propria condizione e un desiderio di mimesi e di esplorazione e di appartenenza. E anche, un occhio attentissimo agli spazi pubblici, i parchi e i giardini prima di tutto, non solo perché chi non ha casa e non ha risorse per consumare li vede come unico possibile luogo di ritrovo, ma perché spesso nei paesi di provenienza la natura è molto presente nella vita pubblica. Mappare è un rovesciamento dei rapporti di potere, un atto di appropriazione della realtà per chi, spesso trattato come membro di una categoria astratta, è più abituato a essere mappato, spesso allo scopo di essere controllato.
Come dice Cartografias Tacticas, "la mappa non è territorio, ma produce territorio". Vale la pena leggersi o rileggersi questo studio del 2013 sulla potenza politica delle "contromappe".
Grazie a tutti, un grande abbraccio e ci sentiamo la settimana prossima!
Marina