i miei Patrons
Alaska, the newsletter
028. forza bruta
cari tutti,
altra valigia, altro ritorno - stavolta di nuovo da Londra - e rieccomi qua, questa volta spero stanziale per un po', con molte idee e il podcast in dirittura d'arrivo!
Ho pensato di portarvi un piccolo ricordo di viaggio, perché c'entra con una delle idee a cui ho ripreso da poco a pensare anche grazie a voi - un progetto collettivo che spero di realizzare da qui a tre/cinque anni e in cui vorrei mettere tutto quello che amo e che ho imparato. Per studiarlo mi sto guardando intorno, cercando di osservare cosa rende accoglienti gli spazi multidisciplinari usati da persone con bisogni e desideri diversi. E quale miglior esempio dell'utilizzo degli spazi comuni se non quello degli edifici brutalisti di Londra - un recupero ragionato (e purtroppo costosissimo, in barba all'etica onesta e di recupero con cui nasce questa architettura) di edifici pubblici, ospedali e sedi istituzionali del secondo dopoguerra, simbolo di una durissima ricostruzione dopo i bombardamenti, ma anche tassello di un movimento architettonico che ha corrispondenze da Boston al Brasile - dove però la "brutta" estetica e le dimensioni monumentali non sempre ne assicurano la popolarità.
Molti edifici brutalisti, infatti, sono stati demoliti o rischiano di esserlo. A Londra, quelli che sopravvivono prosperano. Da "Arancia Meccanica" all'"Ispettore Morse", dal cinema a Instagram, sono immediatamente riconoscibili, e spesso spettacolari come castelli distopici. Il Barbican, da luogo di rara bruttezza è diventato non solo uno dei luoghi più amati e creativi della città, ma anche una costosissima sede di residenze private. Infatti, per quanto famosi per il loro aspetto esterno, di cemento grigio e grezzo, che porta i segni degli attrezzi e delle macchine con cui è stato modellato, a far vivere questi "castelli" sono gli spazi interni, spesso confortevolissimi e sedi delle istituzioni culturali, dalla London Symphony Orchestra al BFI al teatro.
Dai servizi alla segnaletica all'accessibilità, dal fasciatoio per i neonati alle librerie interne, fino all'illuminazione e all'equilibrio fra nicchie protette e luce naturale, e ai materiali che attutiscono i rumori, per non parlare dell'arredamento e della flessibilità degli spazi, i castelli brutalisti sono in realtà spazi comuni ideali. Al contrario di quello che potrebbero suggerire le dimensioni monumentali degli spazi, i soffitti altissimi e i labirinti di sale, qui un bimbo piccolo può correre accanto a un gruppo di uomini d'affari che lavorano al computer, e una scolaresca in visita sciamare fra poeti in raccoglimento ai tavolini e librerie dedicate alla recitazione, come ho visto in questi giorni in uno degli spazi comuni del National Theatre, che fa parte del complesso brutalista del South Bank Centre, sulla riva sud del Tamigi - che vive e pulsa secondo il modello multifunzionale del Beaubourg di Parigi (che brutalista non è). Ho sempre sospettato che a Londra come negli Stati Uniti, la fantasmagorica abilità nel costruire spazi pubblici sia in realtà una compensazione per contrasto dell'estrema privatizzazione degli spazi - una protezione e una difesa. In questo podcast di "Meet the writers" di pochi giorni fa, il direttore del National Theatre Tom Hodgkinson fa un piccolo tour guidato della recentissima ristrutturazione dell'edificio, dal quale è facile capire che il brutalismo è soltanto un (fantastico) pretesto per un'idea molto precisa di come vivere in una città condivisa e aperta a tutti, in cui un luogo di cultura può diventare una nuova cattedrale.
Come sempre grazie a ognuno di voi, un grande abbraccio e ci sentiamo la settimana prossima!
Marina