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Alaska newsletter 014

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Marina Petrillo
Mar 4, 2018
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Alaska, the newsletter

o14. tre serie

Cari tutti, spero che stiate bene, riconoscerete che quella che vi mando e che vi arriva, credo, dopo che avete votato ma prima della Maratona Mentana, sia probabilmente la newsletter più irrilevante della storia! Allora ho pensato di proporvi invece tre serie tv che in queste settimane mi sono piaciute moltissimo (stanno tutte su Netflix e e potreste guardarle al posto dei talk show deprimenti dei prossimi giorni).


Tre serie


Marseille 2 è la seconda stagione (assai disprezzata dai parigini, pare) del drammone stile antichi romani ambientato nell'amministrazione comunale della Marsiglia di oggi. Padre e figlio illegittimo (Gerard Depardieu e Benoit Magimel) si contendono di nuovo la carica di sindaco fra mafia, multiculturalismo e linee morali che si spostano, ma stavolta c'è anche una vicenda che riguarda la grande squadra di calcio della città, qualche cenno alla radicalizzazione e al trattamento degli immigrati irregolari, e soprattutto, l'incarnazione della nuova estrema destra francese. Proprio come la prima serie, parte noir e finisce telenovela, ma se non vi dispiace un po' di trash, resta potentissima.

***

Seven Seconds parte da un'idea difficilissima: raccontare le conseguenze della morte per razzismo di un adolescente afroamericano - in questo caso, un banale incidente nel New Jersey che però viene insabbiato da tre poliziotti corrotti degni di Scorsese. La storia non va mai molto oltre questo, e si muove stretta fra i canoni del genere fino a sfociare nel courtroom drama finale, ma la serie è tutta basata, in realtà, sulle facce dei personaggi, su come crescono di episodio in episodio, sugli accenti di ciascuno che denunciano provenienza etnica, classe sociale, aspirazione, complessi di inferiorità (da guardare assolutamente in originale con i sottotitoli - solo così si può percepire la forza con cui durante la rivolta irrompe fra gli agenti il capo bianco della polizia); e ancora, su quello che succede nelle scene al di fuori dei dialoghi, sui sogni traditi della working class, sulle contraddizioni della lotta afroamericana, sulle lunghissime conseguenze di ogni lutto familiare sulla comunità nel suo complesso.


***


She's Gotta Have It, una creazione di Spike Lee che prende le mosse dal suo film del 1986, esplora e aggiorna la storia di Nola Darling, giovane pittrice squattrinata alle prese con tre amanti. Uno dei più bei personaggi femminili/femministi che si possano vedere sul piccolo schermo, oggi Nola vive in una brownstone mentre Brooklyn si gentrifica tutt'intorno a lei, il suo amico senzatetto è un reduce dell'Afghanistan, e le ultime due puntate sono ambientate dopo la vittoria elettorale di Trump. Nola non è solo una ragazza, ma rappresenta la stessa Brooklyn. Il tratto veramente magnifico della serie, però - tutti e dieci gli episodi sono diretti dallo stesso Spike Lee - sta soprattutto nei colori brillanti, nella dimensione onirica, nella quantità di riferimenti culturali e politici, nella musica (tutte le canzoni compaiono con i loro credit fra una scena e l'altra, e su Spotify trovate la playlist della colonna sonora) - una gemma fra le grigie serie crime che dominano il panorama. Bellissima la sequenza di Nola che visita le tombe delle grandi figure afroamericane nel cimitero di Green Point, e pazzesca l'ultima puntata con la cena del Ringraziamento che rende omaggio a Prince.

Grazie a tutti come sempre per il vostro sostegno, stiamoci vicini nei prossimi giorni e vediamo cosa succede. Intanto ci sentiamo la settimana prossima.
Marina

La fotografia di questa settimana è "La soffice", 2 marzo 2018

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